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    Recensione Diario di scuola

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    Recensione Diario di scuola

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    Chi è Daniel Pennac?

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    Daniel Pennac

    Daniel Pennac è nato nel 1944 in una famiglia di militari di origini corse e provenzali, passa la sua infanzia in Africa, nel sud-est asiatico, in Europa e nella Francia meridionale. Pessimo allievo, solo verso la fine del liceo ottiene buoni voti, quando un suo insegnante, nonostante la sua dislessia, comprende la sua passione per la scrittura e, al posto dei temi tradizionali, gli chiede di scrivere un romanzo a puntate, con cadenza settimanale. Ottiene la laurea in lettere all’Università di Nizza nel 1968, diventando contemporaneamente insegnante e scrittore.

    La scelta di insegnare, professione svolta per ventotto anni, a partire dal 1970, gli serviva inizialmente per avere più tempo per scrivere, durante le lunghe vacanze estive. Pennac, però, si appassiona subito a questo suo ruolo. Inizia l’attività di scrittore con un pamphlet e con una grande passione contro l’esercito (Le service militaire au service de qui?, 1973), in cui descrive la caserma come un luogo tribale, che poggia su tre grandi falsi miti: la maturità, l’uguaglianza e la virilità. In tale occasione, per non nuocere a suo padre, militare di carriera, assume lo pseudonimo Pennac, contrazione del suo cognome anagrafico Pennacchioni.

    Abbandona la saggistica in seguito all’incontro con Tudor Eliad, con il quale scrive due libri di fantascienza (Les enfants de Yalta, 1977, e Père Noël, 1979) ma che ebbero scarso successo commerciale. Successivamente, decide di scrivere racconti per bambini.

    Qual è la trama del libro Diario di scuola?

    L’autore affronta il grande tema della scuola dal punto di vista degli alunni. In verità dicendo “alunni” si dice qualcosa di troppo vago: qui è in gioco il punto di vista degli “sfaticati”, dei “fannulloni”, degli “scavezzacollo”, dei “marioli”, dei “cattivi soggetti”, insomma di quelli che vanno male a scuola. Pennac, ex scaldabanco lui stesso, studia questa figura popolare e ampiamente diffusa dandogli nobiltà, restituendogli anche il peso d’angoscia e di dolore che gli appartiene.

    Il libro mescola ricordi autobiografici e riflessioni sulla pedagogia, sulle universali disfunzioni dell’istituto scolastico, sul ruolo dei genitori e della famiglia, sulla devastazione introdotta dal giovanilismo, sul ruolo della televisione e di tutte le declinazioni dei media contemporanei. E da questo rovistare nel “mal di scuola” che attraversa con vitalissima continuità i vagabondaggi narrativi di Pennac vediamo anche spuntare una non mai sedata sete di sapere e d’imparare che contrariamente ai più triti luoghi comuni, anima i giovani di oggi come quelli di ieri.

    Con la solita verve, l’autore della saga dei Malaussène movimenta riflessioni e affondi teorici con episodi buffi o toccanti, e colloca la nozione di amore, così ferocemente avversata, al centro della relazione pedagogica.

    Quali argomenti narra il libro Diario di scuola?

    Il diario è uno strumento magnifico! Vi si annotano pensieri, parole, ricordi ed espressioni, ma anche una foto incollata, il petalo di un fiore ormai appassito, la frase significativa di una canzone e i compiti per il giorno dopo. Tuttavia, c’è sempre quel genitore clemente che copre tutte le “malefatte” dei figli, anche di quelli più turbolenti e ribelli.

    Nel libro, Pennac alterna alcuni dei suoi ricordi personali d’infanzia a quelli legati ai suoi anni da insegnante. Ci racconta come Nathalie non riuscisse proprio a capire le proposizioni subordinate concessive, mentre una giovane donna, sua ex-allieva, ricordava ancora perfettamente i versi de “L’allée”, splendida poesia di Supervielle. Inoltre, Pennac ci parla di come da piccolo odiava le maiuscole, mentre Rémi incredibilmente era riuscito a realizzare il suo sogno diventando uno chef, proprio come aveva fantasticato molti anni prima, durante un compito in classe dal titolo: “Fai il tuo ritratto a quarant’anni”. Ma Pennac offre anche un punto di vista interessante, quello del “somaro”.

    Spesso, essere “somari” non è il frutto della scarsa volontà di un piccolo individuo disattento, ma è l’espressione di un’identità imprigionata nella solitudine della difficoltosa memorizzazione di un argomento o di un importante disagio familiare, nascosto agli occhi e alle orecchie di tutti. Questi alunni, portando sulle spalle un pesante fardello, cercano di andare avanti arrancando nel silenzio dell’autoemarginazione. Ma quando incontrano un insegnante empatico che riesce a penetrare il muro protettivo che avevano creato attorno a sé, la lingua si scioglie, gli occhi si inumidiscono e un sorriso finale campeggia sul volto del futuro ex-somaro.

    Come un’isola deserta e brulla che, improvvisamente, fiorisce e si allunga verso la terraferma, così certi “somari”, annaspando in un mare in tempesta (la non comprensione dei loro turbamenti interiori), si aggrappano a quegli inattesi tronchi galleggianti (i professori) con la speranza di emergere e finalmente uscire dal limbo della loro somaraggine.

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    Simona Caruso

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