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    Intervista ad Alice Mignani Vinci

    Autrice del libro Le coordinate del male. Il deficit di empatia e l’assenza di rimorso

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    Recensione le coordinate del male

    Intervista ad Alice Mignani Vinci

    Chi è Alice Mignani Vinci?

    Intervista ad Alice Migani Vinci
    Alice Mignani Vinci

    Alice Mignani Vinci, Assistente sociale, Criminologa forense, Pedagogista. Laureata con lode in Scienze della Comunicazione presso l’università degli studi Roma Tre, prosegue con un secondo titolo in Scienze del Servizio Sociale presso la facoltà di Giurisprudenza della LUMSA di Roma, completando il percorso con un secondo 110 e lode, proclamato all’unanimità dalla commissione esaminatrice. Dottore Magistrale in Programmazione e Gestione dei Servizi Educativi sempre presso Roma Tre.

    Collabora da tempo con varie testate giornalistiche cui fornisce contributi di natura criminologica e analizzando la cronaca nera. Negli anni acquisisce due diplomi di formazione specifica in scienze criminologiche e forensi, e un master presso l’Accademia Internazionale delle Scienze Forensi di Roma, conseguendo la qualifica di Esperta in Criminologia Investigativa, Psicologia e Psichiatria Forense applicata ai Sex Offenders.

    Le aree di maggiore interesse professionale e di formazione specialistica sono la pedagogia della devianza, la criminologia applicata all’area dei reati di matrice sessuale, il servizio sociale penitenziario e l’esecuzione penale esterna. Appassionata di scrittura, in particolare nel genere giallo e thriller, è anche artisticamente modella da anni e si batte per il superamento degli stereotipi di genere legati alla figura della donna.

    Intervista

    1. Nel libro vi sono considerevoli citazioni e riferimenti bibliografici. Chi ti ha ispirato maggiormente sull’argomento e perché?

    La mia formazione prettamente criminologica si è concentrata nell’ultima decade, soprattutto con riferimento agli aggressori sessuali (sex offenders), su cui mi sono soffermata e ho studiato in maniera specifica.

    Poi, nel corso degli anni, alcuni temi hanno catalizzato la mia attenzione più di altri, in particolare gli studi sulla possibilità di indurre il male, sul potere della situazione e l’origine della crudeltà, tra fattori innati/biologici e socio-ambientali.

    In questo senso gli autori cui sono più debitrice sono Simon Baron-Cohen e Piero Bocchiaro, con i rispettivi testi di riferimento “La scienza del male” e “Psicologia del male”, in cui ho ritrovato spunti e affinità di pensiero sulla complessa tematica dell’origine della crudeltà umana e i fattori scatenanti ad essa correlati.

    Importante e necessario anche citare Phil Zimbardo cui ho attinto con uno sguardo che, dal cinema ispirato al suo celebre esperimento carcerario del 1971(“The Experiment” di Oliver Hirschbiegel), si è poi riallacciato alla sua opera “L’Effetto Lucifero”.

    2. Quale evento professionale o personale ha inciso un particolare ricordo?

    La volontà e la necessità di fornire un contributo personale che dalla criminologia intersecasse i temi della crudeltà e dell’empatia ha origini lontane, nel mio percorso di vita personale. Crescendo, e nel corredo delle mie differenti esperienze, ho potuto mettere a fuoco come il principio della cattiveria scaturisse da una mancanza di sensibilità e capacità di attribuire rilevanza ai sentimenti dei soggetti “altro da me”, di riflettere sulle conseguenze di un atto meschino, che danneggiasse la sfera emotiva del prossimo.

    Da piccola provavo una sofferenza profonda nei riguardi dei bambini provenienti da situazioni difficili o oggetto di scherno e bullismo, e mi adoperavo in senso protettivo o per, in qualche modo, lenire le loro ferite. Ricordo un episodio che mi è rimasto impresso per tutta la vita: una compagna di classe, che era povera e per questo emarginata, era stata tenuta fuori dal progetto di un “giornalino” di classe, io prendendo atto di questo feroce atto di esclusione, decisi di staccarmi dalla massa e unirmi a lei per progettarne uno a parte, empatizzando con quello che stava provando lei.

    Il dominio dell’empatia, come dico sempre, è percepire il sentire altrui, e ad esso abbinare una azione corrispondente, si compone di due momenti. Ha caratteri innati, si può educare, ma difficilmente. Io stessa, per situazioni personali, sono stata vittima di angherie e cattiverie, e la domanda che mi facevo e ponevo a chi metteva in atto questi gesti era: “perché, se io non ti ho fatto nulla?” E così, crescendo sono giunta ad elaborare la mia visione del male, le sue motivazioni e origini.

    3. Quando e perché hai maturato l’idea di scrivere su questo tema?

    Dopo la discussione della terza tesi di laurea, spinta dalla necessità di dare vita ad un primo volume ed opera letteraria tangibile che condensasse studi, percorso personale e professionale intorno ai temi a me cari, ho maturato l’idea di pubblicare Le Coordinate del Male: il periodo antecedente la scrittura di questa trattazione, fu difficoltoso e decisi che era arrivato il momento di rendere concreto il desiderio di lasciare un mio forte contributo che restasse nel tempo e potesse giungere agli altri.

    4. Quali cambiamenti o proposte possono migliorare la prevenzione e gestione dei reati a sfondo sessuale?

    Servono corsi d’azione in grado di tutelare davvero le vittime, le leggi da sole non bastano, c’è una carenza di protezione in senso generale, oltre che di informazione utile sul tema. Nei riguardi della salvaguardia dalle ritorsioni degli aggressori io parlo di una dimensione disattesa e assente: in quanti fatti di cronaca leggiamo di vittime che avevano denunciato, o terrorizzate, che poi finiscono per subire il male di cui sono bersaglio? C’è una falla da colmare in tal senso, ed è enorme.

    5. Perché verso i sex offender sono ancora presenti parecchi pregiudizi e regna omertà e “vendetta” all’interno dei penitenziari?

    Il contesto penitenziario, non solo nei riguardi degli autori di reati a sfondo sessuale, ma in senso generale, è un mondo a parte con sue dinamiche, regole e meccanismi che difficilmente sono comprensibili a chi da questa istituzione totale è avulso o estraneo. Regna molta aggressività e dei codici sottilmente legittimi di ritorsione nei riguardi di coloro che si sono macchiati delle condotte più deprecabili, come i sex offenders, che comunque sono collocati sempre in sezioni separate e protette.

    Il pregiudizio è legato ovviamente alla natura del reato, particolarmente scabroso e difficilmente recuperabile sotto il piano della modifica dell’indole comportamentale e caratteriale. Si pensi, per fare un esempio classico, al pedofilo reo o accusato di aver ucciso un minore: un accadimento sconcertante, che si fonda su una parafilia rigida e difficilmente passibile di modifica.

    La violenza che si verifica nel contesto carcerario è a mio avviso da scongiurare e contrastare, dal momento che nessun autore di reato deve ritrovarsi ad essere oggetto di attacchi, aggressioni fisiche o ritorsioni che possano minare e deteriorare l’esperienza detentiva. Questo è un parere personale, ma sono assolutamente convinta che la violenza non richiama niente di buono o costruttivo in previsione futura, ma anzi conduce ad un peggioramento e degrado umano che interessa tutti i soggetti coinvolti.

    6. Il libro fornisce un ampio approfondimento e arricchimento anche sull’articolo 27 della Costituzione Italiana. Credi che le istituzioni e la società siano in linea con la Costituzione? L’art. 27 tiene conto dei tempi che contraddistinguono l’Italia d’oggi?

    L’art. 27 e il trattamento rieducativo in generale, sono abbastanza disattesi nelle concrete possibilità e modalità di espiazione delle pene, per molti motivi che non sarebbe possibile esaurire e documentare in questa sede perché sarei superficiale e approssimativa. Da quella che è la mia duplice esperienza professionale in ambito di esecuzione penale esterna e all’interno del carcere, i problemi sono dovuti a tanti fattori, in primis la mole di lavoro e il sovraffollamento di utenza che non permette di ritagliare con la dovuta attenzione e cura ad personam la dimensione rieducativa-riparativa e risocializzante.

    Poi c’è tutto un discorso a parte che mi preme particolarmente e riguarda la carenza, da rafforzare assolutamente, dell’intervento pedagogico, sia all’interno delle case circondariali che fuori. L’area educativa è estremamente importante, e va incentivata, anche con nuove assunzioni e nel potenziamento delle risorse in tal senso. Molte volte nei colloqui con i detenuti, mi è stato riferito che in un arco considerevole di tempo erano stati minimi e residuali i contatti con l’educatore penitenziario: assolutamente inaccettabile, se vogliamo che la rieducazione sia una dimensione reale e non di valori decantati al vento.

    Il mio libro “Le Coordinate del Male” si sofferma molto sulla dimensione della pedagogia penitenziaria e della devianza, raccogliendo criticità e limiti dell’art.27 e del trattamento rieducativo, e gettando le basi di una prospettiva costruttiva futura.

    7. Quale messaggio desideri passare ai lettori?

    La crudeltà esiste, e si origina da precise caratteristiche, come dico sempre il mio è un libro che oscilla tra amarezza e speranza: c’è un male innato, puro e insondabile, sul quale è irrealistico riporre illusioni infondate. Nello stesso tempo, mantenere la fiducia nella prevenzione, nelle possibilità di proteggersi, nell’umanità positiva e nutritiva.

    Il mio è un testo che fa distinguo, senza manicheistiche ed estreme divisioni, ma sicuramente riconoscendo sia il bene che il terreno d’ombra del male, e i relativi, complessi chiaroscuri. Ma cerchiamo di farcene una ragione, rifuggendo da un buonismo che risulta sovente dannoso: il male è una dimensione reale, tangibile, e spesso senza essere sorretto da motivazioni profonde.

    8. Hai altri progetti letterari in mente? Se sì, su quali tematiche?

    Ho iniziato la stesura di un romanzo di genere giallo e drammatico, con venature horror, in cui riprendo anche tematiche di natura sociale cui tengo molto,“Il motivo delle spine della rosa bianca”, conto di terminarlo entro il prossimo anno, ma si tratta di un libro più personale, viscerale, e non intendo essere frettolosa.

    Invece è da poco edita con I Quaderni del Bardo Editore la nuova rivista “Obscura”, raccolta periodica di scritti su crime, noir e criminologia, in cui vi è il mio apporto dal N.0 con un contributo sulle psicosette e il male oscuro che ammalia le fragilità dell’anima. Il volume è frutto del lavoro appassionato e accorto di molti bravi colleghi ed esperti del settore.

    Ho inoltre in cantiere da tempo una raccolta di poesie e pensieri che ho riunito sotto il titolo di “Born From a Wish”, che tramite metafore, digressioni e fantasia narrano l’ardente desiderio di riappropriarsi della vita, con riferimento alla mia esperienza personale.

    9. Poiché prima pubblicazione, come definiresti la tua esperienza editoriale?

    Mi sono resa conto, mio malgrado e non proveniendo da esperienze editoriali, di come il libro sia anche oggetto commerciale, travalicando spesso il sentire personale e la profondità delle trame e parole di cui esso è portatore: questo non mi piace e non mi rappresenta, ma quando ti ritrovi a pubblicare un’opera prima sei catapultata in questo grande mare, e giocoforza devi adoperarti per navigare…un po’ come nelle inquiete correnti alternate delle “Coordinate del Male”!

    Alice Mignani Vinci

    Leggi anche la nostra recensione del libro Le coordinate del male Il deficit di empatia e l’assenza di rimorso

    Guarda anche al video presentazione del libro

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