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    Intervista a Gina Scanzani

    Intervista a Gina Scanzani

    Intervista a Gina Scanzani

    Intervista a Gina Scanzani
    Gina Scanzani – Fonte dell’immagine fotografica: fattitaliani.it

    Gina Scanzani nasce a Fiano Romano (RM). Approda al mondo della scrittura nel 2012, in un momento particolarmente delicato della sua vita: la terza battaglia contro un cancro. È proprio in quell’istante sospeso tra fragilità e determinazione che ha scelto di affidare la propria voce alla scrittura. Da quell’esperienza intensa è nato il suo primo libro autobiografico: “Eccomi ci sono ancora. La vita è una inguaribile sorpresa”, un racconto autentico e toccante che intreccia la convivenza con la sclerosi tuberosa e la lotta contro un tumore raro in stadio avanzato.

    La scrittura, inizialmente vissuta come strumento di resistenza, si è trasformata per lei in un cammino di scoperta, guarigione e rinascita. Gina ha proseguito nel suo percorso letterario, esplorando generi diversi, dalla poesia alla narrativa, dai racconti alle fiabe, trovando in ogni parola un modo per liberarsi dai pregiudizi legati alla malattia.

    Crede profondamente nella terapia dell’animo, intesa come arte del fare: tutto ciò che nutre lo spirito come la scrittura, pittura, musica e ogni forma di espressione creativa  è per lei fonte di libertà e cura. Ama ripetere che “le cose belle spesso nascono dalla sofferenza e bisogna avere il coraggio di esprimerle”.

    Convinta che la condivisione sia una forza, Gina porta avanti il desiderio di dare voce a chi vive nell’ombra, offrendo attraverso le sue parole un messaggio di speranza. Ha pubblicato numerosi libri e ha partecipato a diversi progetti culturali e artistici. Continua a scrivere poesie e aggiorna, seppur in modo saltuario, il suo blog personale: GinaScanzani.altervista.org

    Nel suo cammino ha avuto la fortuna di incontrare persone speciali, come il Presidente della Fondazione Neurone, che ha avuto un ruolo importante nella sua crescita come autrice.

    Libri pubblicati:

    • Eccomi ci sono ancora – Youcanprint
    • Il volo delle parole – Youcanprint (fuori commercio)
    • Riflessi dell’Anima – Lampi di stampa / Youcanprint (fuori commercio)
    • Evoluzioni – Lampi di stampa / Youcanprint (fuori commercio)
    • La soffitta dei ricordi – Ilmiolibro / Augh! / Pav Edizioni (illustrato)
    • Mimì nella grotta oscura – Erickson Live
    • Istantanee riflesse – Edizioni Ensemble
    • Passi – Robin Edizioni
    • Un amico invisibile – Bertoni Edizioni

    Traguardi e riconoscimenti

    • 2016 – Intervento al Convegno scientifico “Sfida alla comunicazione scientifica” (Neuromed)
    • 2017 – Partecipazione al Convegno sulle malattie rare presso il Liceo A. Romita di Campobasso
    • 2019 – Evento “Ti sento! Non essere sordo alle emozioni” – Macro Asilo
    • 2020 – Mostra presso TAG – Tevere Art Gallery
    • 2020 – Vincitrice del concorso artistico-letterario “Il Volo di Pegaso” – XII edizione (Poesia: Invisibile bellezza)
    • 2021 – Vincitrice del concorso “Il Volo di Pegaso” – XIII edizione (Poesia: Il sentiero blu della vita)
    • Dal 2017 – Iscritta alla FUIS (Federazione Unitaria Italiana Scrittori)
    • Giurata del concorso letterario ArgentPic
    • Ambasciatrice del progetto Scienza Partecipata (a cura del Ministero della Salute per agevolare la vita dei malati rari)
    • Vincitrice della III edizione del Concorso “Il mattone rosso” (novembre 2024)

    Fonte della biografia: GinaScanzani.altervista.org

    Intervista de “La Gilda dei Lettori” alla scrittrice Gina Scanzani

    1. Nel 2012, in un momento di grande fragilità personale, ha scelto di affidarsi alla scrittura, intesa anche come cura per l’anima. Come ricorda quel primo incontro tra dolore e parola scritta?

    “Il 2012 ha segnato per me l’incontro con la parola scritta, un momento che porto impresso nella memoria come una svolta indelebile. Venivo da un periodo di grande fragilità, e scrivere è stato come aggrapparmi a un filo di luce nel buio. All’inizio fu caotico: non avevo mai scritto un libro, solo blog e poesie, forme più intime e immediate. Ricordo il timore di mettere nero su bianco emozioni che fino a quel momento avevo tenuto dentro. Ma proprio in quel caos ho trovato un’ancora.

    La scrittura ha riempito un vuoto che rischiava di inghiottirmi.
    Oggi, guardando indietro, so con certezza che quel gesto, apparentemente semplice, è stato decisivo. Scrivere mi ha permesso di dare forma al dolore, di trasformarlo. E credo davvero che senza quel lavoro interiore, senza quella necessità di raccontarmi, non avrei avuto la forza di affrontare e superare la recidiva tumorale al quarto stadio. La scrittura non è stata solo una cura per l’anima: ha avuto un ruolo essenziale anche nella mia guarigione fisica.”

    2. In “Un amico invisibile” la fragilità si trasforma in forza. Quanto e in quali occasioni questa metamorfosi è in continuo divenire?

    “La consapevolezza che la vita è un soffio — che oggi ci siamo e domani tutto può cambiare — ha trasformato il mio modo di vivere. Questa metamorfosi non è stata un evento isolato, ma un processo continuo, che si rinnova giorno dopo giorno.

    Si manifesta nelle scelte quotidiane: nel modo in cui decido di investire il mio tempo, nel valore che attribuisco alle relazioni, nella volontà di non rimandare più i sogni. La fragilità, un tempo percepita come limite, è diventata un promemoria prezioso. Mi spinge a vivere con intensità, con gratitudine, con uno sguardo più attento alle piccole cose.

    In ogni sfida vedo un’opportunità, in ogni difficoltà scopro una forza che non pensavo di possedere. Questa metamorfosi mi ha insegnato a non lasciare nulla al caso, a dare il giusto peso a ciò che conta davvero, a celebrare la vita in tutte le sue sfumature. È proprio dalla mia fragilità che ho tratto la spinta per diventare la persona che sono oggi.”

    3. Il libro si apre con una dedica che richiama il valore dell’ascolto e del dialogo. Cosa rappresentano per lei queste due parole nella vita e nella scrittura?

    “Ascolto e dialogo sono i pilastri su cui ho costruito non solo la mia vita, ma anche il mio modo di scrivere. Per me, non sono solo parole, ma azioni interconnesse che sostengono ogni rapporto umano. L’ascolto è la base di tutto: significa non solo sentire le parole, ma accogliere il pensiero, l’emozione e il vissuto dell’altro. Il dialogo, invece, è lo strumento che permette a questa comprensione di diventare uno scambio profondo e costruttivo.

    Li ritrovo nel mio percorso personale e nella mia scrittura: come autrice, ascolto le mie emozioni più profonde e dialogo con esse sulla pagina. Oggi, attuo queste dinamiche con gli amici che si confidano con me, offrendo uno spazio di ascolto e un dialogo onesto. In fondo, la scrittura stessa è una forma di dialogo, un ponte tra l’autore e il lettore, in cui la storia che si racconta diventa un’occasione per riflettere e connettersi.”

    4. Nella narrazione si percepisce la presenza degli elementi e valori costituenti anche la “Comunicazione Nonviolenta” di Marshall Rosenberg. Dal mio punto di vista,  il  “Linguaggio Giraffa” è vivo in Lei. Questo aspetto, quali sentimenti suscita in lei e quali sono i pensieri in merito?  

    “Innanzitutto, grazie di cuore per questa osservazione. Mi ha colpita profondamente. Sentirmi riconosciuta nel ‘Linguaggio Giraffa’ di Marshall Rosenberg — che fino a poco tempo fa non conoscevo — suscita in me un senso di meraviglia, gratitudine e anche sorpresa. La mia trasformazione, soprattutto dopo la malattia, è stata un viaggio verso la gentilezza, verso la scelta consapevole di non ferire, nemmeno con le parole.

    Ho imparato che la violenza, anche quella sottile che si nasconde nei giudizi o nelle reazioni impulsive, non costruisce nulla. La nonviolenza, invece, ha un potere immenso: cura, avvicina, trasforma. Sapere che questo approccio è stato percepito nella mia scrittura mi emoziona. Perché significa che il mio cambiamento interiore ha trovato voce, e che quella voce può risuonare anche negli altri. Credo che dentro ognuno di noi ci siano risorse straordinarie, spesso silenziose, che aspettano solo di essere risvegliate.

    Il mio percorso mi ha insegnato a parlare con il cuore, a scegliere parole che accolgono invece di respingere. Se la mia storia può ispirare qualcuno a fare lo stesso, allora tutto il dolore che ho attraversato avrà avuto un senso ancora più profondo.”

    5. Parla di empatia e “auto-empatia” come rifugio interiore. Potrebbe raccontare come si coltiva questa capacità, soprattutto nei momenti più difficili?

    “Credo che il primo passo per uscire da una delusione sia proprio l’autoempatia. Per me è stata un rifugio, un luogo interiore dove ho imparato a guardarmi con occhi gentili, senza giudizio. Quando si soffre, spesso si cerca conforto fuori: negli altri, nei riconoscimenti, negli applausi. Io l’ho fatto per anni, sentendomi come una mendicante di attenzioni, in attesa che qualcuno mi dicesse che andava tutto bene. Ma quel tipo di sollievo è fragile, temporaneo. Il cambiamento è iniziato quando ho smesso di inseguire l’approvazione esterna e ho cominciato ad ascoltarmi davvero.

    Ho dato voce ai miei bisogni, alle mie ferite, senza più zittirle. Ho imparato a perdonarmi, a riconoscere il mio valore anche nei momenti in cui mi sentivo persa. E lì è successa una cosa straordinaria: più mi accoglievo, più riuscivo ad accogliere gli altri. L’empatia verso gli altri è come un muscolo, ma si allena prima di tutto su di sé. Autoempatia, per me, significa sedersi accanto al proprio dolore senza volerlo cambiare subito. Significa dirsi: ‘Ti vedo, ti ascolto, sei importante’. È un viaggio che parte dall’interno, e solo così può riflettersi all’esterno in modo autentico.”

    6. Il suo stile è ricco di immagini poetiche e metafore. È un tratto istintivo o frutto di una precisa scelta narrativa per amplificare l’impatto emotivo sul lettore?

    “Direi che è un tratto istintivo, sì. La mia sensibilità mi ha sempre portata a vedere il mondo attraverso lenti poetiche, come se la realtà avesse bisogno di essere tradotta in immagini per essere davvero compresa. È qualcosa che mi appartiene da sempre: anche da bambina, prima ancora di scrivere, pensavo in metafore.

    La poesia, per me, non è solo una forma espressiva: è il mio linguaggio naturale, quello che mi permette di raccontare l’indicibile, di dare forma a emozioni che altrimenti resterebbero sospese. Quando scrivo, uso le immagini e le metafore per amplificare l’impatto emotivo, certo, ma anche per creare un ponte. Voglio che chi legge non solo capisca, ma senta. Che possa camminare dentro le mie parole e riconoscersi, anche solo per un attimo.”

    7. La poesia, nel libro, diventa terapia. Qual è il primo verso che ha scritto sentendolo come una vera cura per sé stessa?

    “Ho scritto migliaia di poesie, ma se devo scegliere quella che ha segnato un vero punto di svolta, allora è ‘Il sole’. L’ho composta nel 1996, in ospedale, subito dopo aver ricevuto la diagnosi di sclerosi tuberosa. In quel momento, ero fragile, spaventata, persa. Eppure, dentro di me, qualcosa ha chiesto voce.

    Quella poesia non è nata dal cuore: è stata un grido di speranza, un modo per dire a me stessa che, nonostante tutto, c’era ancora luce. Da quel momento, la poesia è diventata la mia terapia. Non solo parole, ma cura. E ogni verso scritto da allora è stato un passo verso la guarigione, verso la riconquista di me stessa.”

    8. Qual è stato il momento più rivelatore di questo percorso di scrittura terapeutica?

    “Il momento più rivelatore è stato quando ho tenuto tra le mani il mio libro per la prima volta. Ricordo l’incredulità, le lacrime, la gratitudine. Quelle pagine non erano più solo mie, non più confinate nel silenzio di un diario: erano pronte per essere lette, accolte, condivise. Ho sempre detto che senza Eccomi, ci sono ancora, io non ci sarei stata.

    Quel libro è stato la prova tangibile che la mia voce aveva trovato la sua forma. Ma la vera rivelazione è arrivata dopo, quando ho capito che la mia storia poteva diventare speranza per qualcun altro. Ho avuto il privilegio di aiutare una ragazza affetta da sclerosi tuberosa a scrivere, correggere e pubblicare il suo primo libro.

    Vederla fiorire attraverso le parole è stato come rivivere la mia rinascita, ma con una gioia ancora più grande: quella di sapere che il mio percorso aveva generato luce anche fuori da me. È lì che ho compreso il potere profondo della scrittura terapeutica: non solo cura, ma seme.”

    9. In “Un amico invisibile” si avverte una grande gratitudine verso la sua famiglia. Come hanno vissuto i suoi cari questo processo creativo e di esposizione personale?

    “La mia famiglia ha avuto un ruolo centrale in questo viaggio, ma è mia madre che ha camminato accanto a me in ogni passo. Il suo sostegno non è stato solo una presenza costante, ma una forza silenziosa e potente che mi ha spinto a credere in me stessa anche quando io non ci riuscivo. Non ha vissuto questo processo con preoccupazione, come molti avrebbero potuto fare, ma con entusiasmo e con un profondo senso di riscatto. Per lei, vedere il mio percorso creativo trasformarsi in cura e rinascita è stato motivo di gioia autentica.

    Non si è trattato solo di orgoglio materno, ma di una gratitudine condivisa: la consapevolezza che, nonostante tutto, ce l’avevamo fatta. Lei, come il resto della mia famiglia, ha visto in questo libro la prova che la fragilità non è debolezza, ma può essere la radice di una forza sorprendente. C’è una commozione profonda nel sapere che ho realizzato qualcosa che ‘nessuno avrebbe mai creduto possibile’, e quel traguardo non è solo mio: è nostro. È il frutto di un amore che ha saputo resistere, sostenere e credere.”

    10. Il libro è anche una testimonianza sulla sclerosi tuberosa e l’epilessia. Cosa spera possa lasciare in eredità ai lettori che vivono, direttamente o indirettamente, queste condizioni?

    “Se il mio libro potesse lasciare un’unica eredità, vorrei che fosse questa: la consapevolezza che la comunicazione è una forma di cura. La sclerosi tuberosa, l’epilessia e i tumori, mi hanno insegnato che non basta la medicina per guarire. Ci sono silenzi che fanno più male delle crisi, solitudini che nessun farmaco può dissolvere.

    È lì che entra in gioco la parola, il racconto, il coraggio di esporsi. Spero che chi vive queste condizioni — o le affronta accanto a qualcuno — possa trovare nel mio libro un invito a parlare, a raccontarsi, a non sentirsi solo. Perché ogni storia condivisa è un ponte, e ogni ponte costruito è un passo verso la guarigione.

    Credo che la medicina del futuro non potrà ignorare il potere dell’ascolto, della testimonianza, della voce di chi lotta ogni giorno. E se anche una sola persona, leggendo Un amico invisibile, sentirà di avere il diritto di raccontarsi, allora il mio dolore avrà avuto un senso. La cura, a volte, comincia proprio da lì: da una pagina che ci somiglia, da una parola che ci accoglie.”

    Leggi anche la → recensione del blog“La Gilda dei Lettori” circa il libro “Un amico invisibile” di Gina Scanzani

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    Approfondisci con la video recensione di Marco Schifilliti dedicata a “Un amico invisibile” di Gina Scanzani

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