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    Recensione Vorrei che fosse notte

    Recensione vorrei che fosse notte

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    Chi è Gisela Scerman?

    Recensione vorrei che fosse notte
    Gisela Scerman

    Gisela Scerman ha trascorro i primi 17 anni della mia vita in un paese del vicentino, esperienza che condizionerà tutta la sua percezione letteraria. Dal 1997 si trasferisce in Emilia a Modena, città alla quale è tutt’ora legata –infatti proprio qui incontra Denny Lugli artista poliedrico che assieme al fumettista Roberto Baldazzini la introduce nell’immaginario erotico ed ironico della cultura fetish, delle Pin Up anni ’50 e di quelle dive, modelle e attrici dell’epoca che sono divenute icone della femminilità e in un certo modo dell’emancipazione dei costumi sociali ed estetici.

    Comincia così come fotomodella a lavorare per illustrazioni, fumetti e fotoromanzi anche con altri artisti del disegno come Franco Saudelli, ma specialmente con Giovanna Casotto.

    Lunga di dieci anni è l’esperienza come modella vivente, per pose classiche presso l’Accademia di Belle Arti di Bologna (2001-2012), mentre continuava  parallelamente a coltivare la grande passione per la chimica e la chimica alimentare (materia che da sempre mi ha enormemente affascinato), frequentando la facoltà di Biotecnologie agrarie a Reggio Emilia, finché rapita dai brani e dall’immagine del cantautore livornese Piero Ciampi ha deciso di dedicare gran parte del suo tempo alla ricerca e alla ricostruzione della sua biografia, proprio per capire come tanto amore, disperazione e ironia potessero convivere ad arrivare con quella forza; forza che in un momento difficile della sua vita le aveva dato coraggio e soprattutto donato molte risposte.

    Qual è la trama del libro Vorrei che fosse notte di Gisela Scerman?

    Il bambino che racconta la storia cresce in una famiglia senza amore. In un paesino di montagna nel Veneto trascorre un’infanzia solitària, candida e trepidante, tra adulti teneri e infernali, vecchi severi e chiusi come pietre e coetanei alla perenne ricerca dell’agnello sacrificale. Né la maestra che lo vittimizza con dei brutti voti, né i suoi genitori, sbandati e sparpagliati in giro per il mondo, né sua nonna – una donna che ha traversato la guerra ma sembra non aver imparato nessun sentimento di tenerezza o compassione – gli sono di aiuto e conforto.

    Il bambino cerca di ricostruire tramite i racconti della madre e dei vicini le origini del posto e anche le sue – storie di crudeltà famigliali accettate passivamente, drammi di donne che come bestie vanno a testa bassa verso il macello che le aspetta – mentre con le serrande della sua camera calate si protegge dalle lance infuocate del sole e della vita.

    Aspra e malinconica saga famigliare, “Vorrei che fosse notte” racconta in modo lirico e visionario un mondo antico e crudele visto con gli occhi di un bambino, un abbozzo d’uomo che non sa ancora nulla, ma che è pronto a passare attraverso il dolore della conoscenza, alla scoperta della passione e del male.

    Di cosa parla il libro Vorrei che fosse notte?

    Bisogna aspettare la notte per ascoltare il dolce riposo del vento, il silenzio delle montagne per far forse finalmente pace con il giorno.

    È proprio quel che accade al protagonista assoluto di Vorrei fosse notte, romanzo di formazione uscito nel lontano 2009 per la Elliot edizioni e scritto dall’autrice vicentina Gisela Scerman.

    Si tratta di un bambino cresciuto nella semplicità e al tempo stesso dalla totale mancanza di affetto e amore da parte della sua famiglia, composta da Letizia sua madre, costretta a sbattersi tra il Veneto e la Germania per lavorare come cameriera, la nonna Irma, una donna fredda e distaccata, lo zio Franck, il cattivo per eccellenza, la degna rappresentazione del male, per fortuna c’è il nonno Fiorenzo, persona buona e mite che si prende cura proprio del ragazzino.

    Ci sono personaggi secondari ma fondamentali nello sviluppo della storia, i compagni del bambino con i quali non lega per i loro modi crudeli e decisamente poco educati, la maestra di scuola che non comprende affatto i suoi disagi e come se non bastasse lo riempie di brutti voti e ancora tanti altri che meglio non svelare affinché il lettore si catapulti nella limpida e scorrevole narrazione di questi personaggi, non tutti sicuramente empatici ma che riescono a ritagliarsi uno spazio non indifferente per essere realistici e soprattutto credibili.

    Il bambino preferisce la notte al giorno, diventandone uno stato d’impellente necessità per far tacere le cattiverie, per mettere fine al male oscuro, così cerca di affrontare i suoi fantasmi familiari coprendosi di buio e affidandosi al silenzio della sera che scende sui monti, tutto questo riesce a dargli conforto, protezione e calore, proprio quel calore di cui sembra venire meno, e la bontà del solo nonno Fiorenzo forse non basta.

    L’autrice mescola il suo stile di scrittura a un linguaggio a tratti poetico, riuscendo a catalizzare l’attenzione del lettore, che è avvinto dalle dinamiche psicologiche di personaggi vividi e pulsanti facendo di un romanzo esistenzialista, una storia densa di malinconia e sconfinata amarezza, ma con un profondo senso di verità innocente.

    Gisela Scerman con grande delicatezza e con una cura maniacale nel descrivere personaggi e luoghi, ha deciso di dar voce ai più piccoli, perché forse solo loro in un mondo arido e cattivo, sono la sola luce della speranza e riescono a osservare meglio di un adulto che preso dalla frenesia della vita non ha più tempo di soffermarsi a pensare e a riflettere e inevitabilmente commette errori.

    Consiglio la riscoperta di questo romanzo d’indiscussa qualità!

    Dario Brunetti

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